Manlio Castronuovo - E'
indubbio come lo scenario di riferimento stia rapidamente cambiando.
Perché il valore della conoscenza sta acquisendo un'importanza vitale
per l'impresa che vuole operare con successo in una logica di
e-business?
Stefano Epifani
- Non iniziamo certo con una domanda semplice…
I motivi sono molteplici. Superate le facili e facilmente disastrose
"euforie" da new economy, che comunque ha visto in Italia
un'evoluzione che potemmo tranquillamente definire "alla
amatriciana", rimane - per fortuna il Business. E il Business, in
un contesto nel quale la rete è ormai pervasiva e diffusa, sfrutta tale
rete per ciò che di meglio essa offre: l'accesso all'informazione e la
possibilità di elaborarla, producendo conoscenza. Il problema è che,
rispetto al passato, è molto più facile arrivare alle informazioni,
molto più difficile elaborarle.
Tanto per dare un'idea della situazione attuale, dal 1995 in poi il
valore degli scambi internazionali sta aumentato a velocità doppia
rispetto al valore della produzione mondiale di beni e servizi. Allo
stesso modo, le transazioni finanziarie internazionali sono aumentate
rispetto agli scambi con la medesima proporzione. I mercati degli
strumenti finanziari derivati si sono sviluppati più rapidamente dei
mercati delle azioni e dei titoli che teoricamente ne avrebbero dovuto
rappresentare la base. Il che, usando le parole di Walter Wriston, ex
presidente della Citicorp, equivale a dire che "l'informazione sul
denaro ormai ha più valore del denaro stesso". E la conoscenza
determina l'abilità nel gestire l'informazione…
MC - 2. e-business è
stretto sinonimo di net economy. Una PMI dovrà necessariamente
ristrutturare le proprie relazioni di affari per operare in ambito
network o potrà "avventurarsi" da sola? Quali rischi in
questo secondo caso?
SE - Il
problema, a mio giudizio, non si pone.
O meglio, si pone in questi termini: o bere o affogare. Non è possibile
correre da soli in un mondo in cui gli avversari competono in squadre.
Essere in rete non è una scelta, è una necessità. Tanto per i colossi
che per le piccole imprese. I primi solo così possono combattere
l'acerrima concorrenza tra le diverse corporation; i secondi solo così
possono combattere l'acerrima concorrenza reciproca e delle corporation.
Lo sviluppo di partnership operative consente di ottimizzare i costi,
abbattere il time-to-market, essere più reattivi nei confronti dei
clienti.
E se ciò è necessario per le grandi strutture, è tanto più
importante per i piccoli, che nei mercati di nicchia possono e devono
costruire network di alleanze. Ancora una volta: la scelta non si pone.
Il treno è in movimento; il salirci o meno sopra dipende da noi. Farlo
vuol dire rimanere in gioco; non farlo significa rimanere fermi in un
mondo che si muove, ed essere quindi da esso superati.
MC - 3. La flessibilità e'
certamente uno degli elementi che caratterizzano i nuovi scenari
competitivi. Come pensa che la PMI debba prepararsi per adattarsi al
meglio ai cambiamenti e definire il proprio sviluppo?
SE - Ancora
una volta, la risposta non è semplice.
In primo luogo è bene considerare che la tecnologia, oggi, è il motore
dello sviluppo. Tuttavia c'è una bella differenza tra il motore ed il
pilota, ed è bene non fare confusione. Indubbiamente il contesto nel
quale viviamo - che come Lei afferma richiede una forte dose di
flessibilità - fa di tale flessibilità uno strumento strategico.
Essere flessibili, nella Net Economy, vuol dire non temere di mettere in
gioco il proprio modello di business, pronti a cambiarlo quando fosse
necessario, ma tenere ben presente che l'e-business è comunque
"una parte" della propria strategia di business.
Non bisogna mai dimenticare che sono sempre validi i tradizionali
principi dell'economia, per i quali …ad esempio …i profitti devono
superare i costi. Negli ultimi tempi, soprattutto nelle grandi
organizzazioni, questa regola sembra essere messa in secondo piano, ma
alla lunga le conseguenze si faranno sentire sul business. Per essere
flessibili, poi, è necessario che anche nelle piccole aziende entrino i
concetti che ormai - almeno dal punto di vista terminologico - sono noti
nelle grandi organizzazioni. Il ruolo della conoscenza e della sua
gestione, ancora una volta, è di primaria importanza per lo sviluppo
del business. Conoscenza della concorrenza, dei propri clienti, del
mercato e delle sue evoluzioni.
MC - 4. L'economia
dell'intangibile ha di fatto eguagliato (per rilevanza strategica)
quella del tangibile. Alla base dell'intangibile c'e' la capacità di
valorizzare il "capitale intellettuale". Come può un'impresa
misurare il capitale intellettuale di cui dispone?
SE -
Il concetto di capitale intellettuale è tutt’altro
che recente ed i sistemi per misurarlo ormai esistono e sono
estremamente complessi. Ad ogni modo non è molto difficile orientarsi a
capire se si è sulla buona strada...
Il capitale intellettuale è costituito dall’insieme
del capitale umano – ossia i propri collaboratori – e dal capitale
strutturale – ossia ciò che i propri collaboratori
"producono" (in termini di conoscenza) e lasciano in azienda
quando la sera tornano alle loro case.
Basta riflettere quindi su alcune questioni di
base…
- L’azienda ha un patrimonio consolidato di
prassi, procedure, regole che supportano i processi operativi?
- L’azienda riesce a far i che il patrimonio
di conoscenze dei singoli collaboratori divenga nel tempo patrimonio
di tutta l’impresa, oppure le conoscenze dei singoli
"muoiono" con i singoli?
- L’azienda cura la protezione delle sue
procedure o dei suoi prodotti attraverso la registrazione di
brevetti industriali?
- I propri dipendenti sono facilmente
sostituibili anche quando sono in funzioni di tipo strategico?
Rispondere positivamente alle domande precedenti
vuol dire che in azienda esiste del capitale intellettuale e che esso ha
valore strategico. Una risposta negativa, al contrario, è segnale del
fatto che il capitale intellettuale della propria organizzazione viene
disperso.
MC - 5. E per incrementarlo
e farlo diventare vero e proprio asset strategico e, quindi, vantaggio
competitivo?
SE - È
necessario gestirlo, e gestirlo bene.
Peraltro in un contesto nel quale il suo ruolo, oltre ad aumentare
d'importanza, muta nei valori specifici. Un tempo era sufficiente fare
knowledge management, ossia gestione della conoscenza, intendendo per
conoscenza la somma e l'elaborazione delle informazioni e dei dati a
disposizione dell'azienda.
Oggi invece è sempre più importante non tanto gestire la conoscenza
acquisita, ma favorire la creazione di nuova conoscenza, attraverso la
comunicazione, lo scambio, l'integrazione delle competenze. In altri
termini è fondamentale creare un contesto nel quale i propri
professionisti riescano a comunicare al meglio e nel quale tali
comunicazioni vengano in qualche modo organizzate così da conservarne
il valore. Il termine net economy, in tal senso, non si riferisce
soltanto alle reti telematiche, ma ai veri e propri "network"
di cervelli che si devono costituire per essere competitivi sul mercato…
MC - 6. Se può essere
intuitivo immaginare un vantaggio competitivo basato sul servizio, sulla
riduzione dei costi, sulla creazione di un valore maggiore, risulta più
difficile immaginare un'impresa che abbia un vantaggio fondato sul
"capitale intellettuale". Può fornire qualche esempio
concreto?
SE - Il
punto è che oggi, per risultare competitivi sulla riduzione dei costi o
sul servizio non si può non far riferimento alla gestione del capitale
intellettuale. Gestire il proprio capitale intellettuale è il mezzo che
permette di ottenere il risultato di presentarsi sul mercato con
maggiore efficienza. Senza contare poi che, se gestire il capitale
intellettuale vuol dire anche gestire i propri asset intangibili, allora
già nel 1982 Coca Cola ha realizzato 150.000.000 di dollari con la
costituzione di Coke Enterprices, ossia una azienda che - senza vendere
un litro di bevanda - ha capitalizzato (appunto) il valore del brand,
dei brevetti, delle relazioni, delle partnership. In ultima analisi del
capitale intellettuale di tipo strutturale. Gestire il capitale
intellettuale consente di leggere meglio il mercato. E meglio vuol dire
più rapidamente o con maggiore precisione di quanto non faccia la
propria concorrenza. Se si vuole comprendere poi il ruolo del capitale
intellettuale e dell'utilizzo dell'informazione basta un esempio tutto
italiano assolutamente indicativo: il "valore" accumulato
dagli Agnelli in un secolo di FIAT è paragonabile a quello creato in
soli 20 anni di televisione da Silvio Berlusconi, ed esso è
paragonabile a quello generato da poco meno di 5 anni di internet da
Renato Soru con Tiscali…
MC - 7. Learning
Organization: ossia la chiave per valorizzare il capitale intellettuale.
Perchè il Knowledge Management non è più sufficiente?
SE -
Strano a dirsi, ma il concetto di learning organization, ossia di
"organizzazione che impara" è addirittura più antico di
quello di knowledge management.
Torna in auge dal momento in cui la gestione del sapere (intendendo per
sapere ciò che "già" si sa) non è più sufficiente. Oggi è
necessario fare della propria azienda una vera e propria "macchina
da guerra" in grado di adattarsi ad un mercato mutevole ed
incostante. Ciò richiede che l'azienda muti al mutare del mercato, e
che si adatti al variare delle condizioni dello stesso. Che impari,
appunto, come rapportarsi all'esterno e rispetto ai suoi stakeholder.
Le tecnologie, oggi, rendono poi possibile la creazione di
infrastrutture distribuite che facilitano lo sviluppo delle
organizzazioni verso il concetto di learning organization… Ecco
perché il Capitale Intellettuale è importante. Esso costituisce la
base per interpretare il mercato e consentire all'azienda di mutare con
esso. Il knowledge management si sviluppa con l'obiettivo di
"fornire la giusta informazione nel giusto momento alla giusta
persona". Oggi deve trasformarsi in strumento operativo della
learning organization, ossia uno strumento per far si che le persone
"generino" sapere e connessioni.
MC - 8. Disporre di
un'organizzazione che impara per prevedere le evoluzioni del mercato.
Alla base, ovviamente, la creazione di un contesto che faciliti il
confronto e l'apprendimento continuo. Quanto e' fattibile per una PMI?
E, soprattutto, quali sono i 3 consigli di Stefano Epifani per chi vuole
fare della propria impresa una Learning Organization?
SE - È
probabilmente più fattibile (o almeno più semplice) per una piccola o
media impresa di quanto non lo sia per una grande azienda. In primo
luogo per una intrinseca maggiore flessibilità delle PMI rispetto alle
grandi aziende, e comunque per una oggettiva maggiore linearità nell’azione
di change management, di gestione del cambiamento. Le PMI possono
configurarsi come delle efficientissime "comunità di pratica"
naturali, nelle quali elementi come i "circoli di qualità" o
iniziative similari proprie della grande azienda non hanno senso in
quanto sono implicite nella struttura e nell’organizzazione della PMI.
E quando la PMI ha personale distribuito sul territorio gli strumenti
della telematica, una buona organizzazione ed un pizzico di buona
volontà risolvono egregiamente il problema.
In ultima analisi le aziende – per piccole che
siano – che non curano i processi di creazione del capitale
intellettuale o che non curano la formazione dei propri dipendenti (due
elementi indistricabilmente connessi) oggi non hanno scuse. Per quanto
attiene la formazione, in particolare, esistono ormai decine di
direttive che permettono di formare i propri dipendenti senza la
necessità di investimenti significativi da parte dell’azienda. Dal
fondo sociale europeo alla legge 626 – soltanto per citare le più
note – sono letteralmente decine le fonti di finanziamento possibili
per quelle aziende che avessero la necessità di formare i propri
dipendenti. La cosa singolare è che i fondi disponibili – di solito
– non vengono utilizzati. E a volte sono ridistribuiti in altre
nazioni europee…
I tre consigli sono presto detti:
- Formazione, formazione, formazione. La
formazione e l’aggiornamento sono fondamentali per il successo
dell’azienda nelle strategie di medio e lungo termine.
- Flessibilità: Imparare vuol dire mutare in
positivo, e mutare vuol dire poter contare su di una organizzazione
in grado di gestire il processo di cambiamento.
Non temere di mettere in gioco il proprio
modello di business. Anche se ciò volesse dire ripensare la propria
organizzazione. Come già detto, il mercato cambia con rapidità. O si
cambia con esso o si muore.
MC - 9. La Learning
Organization si dovrà, in un secondo momento, evolvere in Business
Community. Come dovrà avvenire questo passaggio? Di che natura sono i
rischi a cui si può andare incontro?
SE - La
Business Community è - in qualche modo - lo strumento operativo della
learning organization.
Alla base del modello aziendale sul quale si basano le learning
organization si trovano spesso le comunità di pratica. Il limite delle
comunità di pratica è che esse sono - per loro natura - destrutturate
ed informali. La business community, grazie al supporto della
tecnologia, consentono di gestire comunità di pratica
"virtuali"; che di fronte ad una destrutturazione apparente
possono gestire dei framework estremamente strutturati ed efficienti. I
sistemi di gestione delle business community, se adeguatamente
progettati (il che vuol dire disegnati sull'organizzazione) riescono a
trarre dalle comunicazioni informali il loro contenuto informativo,
esplicitando così il sapere tacito e creando "valore" per
l'azienda che le gestisce.
MC - 10. Come cambia il
processo di creazione del valore per un'impresa che punta ad elevare la
capacità di apprendimento ad asset strategico?
SE - Diviene
un processo ciclico il cui output è il continuo apprendimento di nuovo
sapere e la continua ridefinizione della propria organizzazione e della
propria strategia in funzione di quanto appreso. Tale processo può
essere così riassunto:
- individuare il sapere tacito esistente all’interno
della propria azienda;
- renderlo esplicito;
- formalizzare il sapere esplicito;
- sfruttare il sapere esplicito per sviluppare
nuove strategie di business;
- far si che il sapere esplicito si ritrasformi
in sapere tacito e venga interiorizzato dall’organizzazione;
- individuare ancora sapere tacito e
ricominciare il ciclo…
il sapere, insomma, consente di leggere il
mercato ed adattarsi ai suoi cambiamenti. L’informazione, la
conoscenza, sono chiavi di lettura del mercato, e divengono quindi
elementi strategici per lo sviluppo del business…
MC - 11. Quali presupposti
sono necessari (tecnologie, capitali, capacità strategiche) per
implementare la propria Business Community?
SE - Più
delle tecnologie, più dei capitali, sono altri i fattori che possono
determinare il successo o il fallimento di una Business Community.
In primo luogo il commitment da parte del top management. Quindi una
intensa e puntuale attività di formazione. Il fallimento delle Business
Community, come quello di tutte le iniziative legate al knowledge
management, raramente risiede in fattori di natura puramente
tecnologica.
È di fondamentale importanza, invece, effettuare una costante ed
attenta attività di change management, impostando le necessarie
attività di formazione ed assicurandosi che la percezione del
cambiamento sia positiva. L'accettazione da parte del personale delle
innovazioni e dei nuovi modelli operativi è in assoluto il fattore
predominante per il successo di una buona business community.
Tecnologie e capitali vengono solo dopo le persone, anche in questo caso.
Come sempre, del resto…
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