Interviste sul futuro della rete e della piccola impresa

 

Intervista del 29 aprile 2002
Stefano Epifani
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Manlio Castronuovo - E' indubbio come lo scenario di riferimento stia rapidamente cambiando. Perché il valore della conoscenza sta acquisendo un'importanza vitale per l'impresa che vuole operare con successo in una logica di e-business?

Stefano Epifani - Non iniziamo certo con una domanda semplice… 
I motivi sono molteplici. Superate le facili e facilmente disastrose "euforie" da new economy, che comunque ha visto in Italia un'evoluzione che potemmo tranquillamente definire "alla amatriciana", rimane - per fortuna il Business. E il Business, in un contesto nel quale la rete è ormai pervasiva e diffusa, sfrutta tale rete per ciò che di meglio essa offre: l'accesso all'informazione e la possibilità di elaborarla, producendo conoscenza. Il problema è che, rispetto al passato, è molto più facile arrivare alle informazioni, molto più difficile elaborarle. 
Tanto per dare un'idea della situazione attuale, dal 1995 in poi il valore degli scambi internazionali sta aumentato a velocità doppia rispetto al valore della produzione mondiale di beni e servizi. Allo stesso modo, le transazioni finanziarie internazionali sono aumentate rispetto agli scambi con la medesima proporzione. I mercati degli strumenti finanziari derivati si sono sviluppati più rapidamente dei mercati delle azioni e dei titoli che teoricamente ne avrebbero dovuto rappresentare la base. Il che, usando le parole di Walter Wriston, ex presidente della Citicorp, equivale a dire che "l'informazione sul denaro ormai ha più valore del denaro stesso". E la conoscenza determina l'abilità nel gestire l'informazione…

MC - 2. e-business è stretto sinonimo di net economy. Una PMI dovrà necessariamente ristrutturare le proprie relazioni di affari per operare in ambito network o potrà "avventurarsi" da sola? Quali rischi in questo secondo caso?

SE - Il problema, a mio giudizio, non si pone. 
O meglio, si pone in questi termini: o bere o affogare. Non è possibile correre da soli in un mondo in cui gli avversari competono in squadre. Essere in rete non è una scelta, è una necessità. Tanto per i colossi che per le piccole imprese. I primi solo così possono combattere l'acerrima concorrenza tra le diverse corporation; i secondi solo così possono combattere l'acerrima concorrenza reciproca e delle corporation. Lo sviluppo di partnership operative consente di ottimizzare i costi, abbattere il time-to-market, essere più reattivi nei confronti dei clienti. 
E se ciò è necessario per le grandi strutture, è tanto più importante per i piccoli, che nei mercati di nicchia possono e devono costruire network di alleanze. Ancora una volta: la scelta non si pone. Il treno è in movimento; il salirci o meno sopra dipende da noi. Farlo vuol dire rimanere in gioco; non farlo significa rimanere fermi in un mondo che si muove, ed essere quindi da esso superati.

MC - 3. La flessibilità e' certamente uno degli elementi che caratterizzano i nuovi scenari competitivi. Come pensa che la PMI debba prepararsi per adattarsi al meglio ai cambiamenti e definire il proprio sviluppo?

SE - Ancora una volta, la risposta non è semplice. 
In primo luogo è bene considerare che la tecnologia, oggi, è il motore dello sviluppo. Tuttavia c'è una bella differenza tra il motore ed il pilota, ed è bene non fare confusione. Indubbiamente il contesto nel quale viviamo - che come Lei afferma richiede una forte dose di flessibilità - fa di tale flessibilità uno strumento strategico. Essere flessibili, nella Net Economy, vuol dire non temere di mettere in gioco il proprio modello di business, pronti a cambiarlo quando fosse necessario, ma tenere ben presente che l'e-business è comunque "una parte" della propria strategia di business. 
Non bisogna mai dimenticare che sono sempre validi i tradizionali principi dell'economia, per i quali …ad esempio …i profitti devono superare i costi. Negli ultimi tempi, soprattutto nelle grandi organizzazioni, questa regola sembra essere messa in secondo piano, ma alla lunga le conseguenze si faranno sentire sul business. Per essere flessibili, poi, è necessario che anche nelle piccole aziende entrino i concetti che ormai - almeno dal punto di vista terminologico - sono noti nelle grandi organizzazioni. Il ruolo della conoscenza e della sua gestione, ancora una volta, è di primaria importanza per lo sviluppo del business. Conoscenza della concorrenza, dei propri clienti, del mercato e delle sue evoluzioni.

MC - 4. L'economia dell'intangibile ha di fatto eguagliato (per rilevanza strategica) quella del tangibile. Alla base dell'intangibile c'e' la capacità di valorizzare il "capitale intellettuale". Come può un'impresa misurare il capitale intellettuale di cui dispone?

SE -  Il concetto di capitale intellettuale è tutt’altro che recente ed i sistemi per misurarlo ormai esistono e sono estremamente complessi. Ad ogni modo non è molto difficile orientarsi a capire se si è sulla buona strada...

Il capitale intellettuale è costituito dall’insieme del capitale umano – ossia i propri collaboratori – e dal capitale strutturale – ossia ciò che i propri collaboratori "producono" (in termini di conoscenza) e lasciano in azienda quando la sera tornano alle loro case.

Basta riflettere quindi su alcune questioni di base…

  • L’azienda ha un patrimonio consolidato di prassi, procedure, regole che supportano i processi operativi?
  • L’azienda riesce a far i che il patrimonio di conoscenze dei singoli collaboratori divenga nel tempo patrimonio di tutta l’impresa, oppure le conoscenze dei singoli "muoiono" con i singoli?
  • L’azienda cura la protezione delle sue procedure o dei suoi prodotti attraverso la registrazione di brevetti industriali?
  • I propri dipendenti sono facilmente sostituibili anche quando sono in funzioni di tipo strategico?

Rispondere positivamente alle domande precedenti vuol dire che in azienda esiste del capitale intellettuale e che esso ha valore strategico. Una risposta negativa, al contrario, è segnale del fatto che il capitale intellettuale della propria organizzazione viene disperso.

MC - 5. E per incrementarlo e farlo diventare vero e proprio asset strategico e, quindi, vantaggio competitivo?

SE È necessario gestirlo, e gestirlo bene. 
Peraltro in un contesto nel quale il suo ruolo, oltre ad aumentare d'importanza, muta nei valori specifici. Un tempo era sufficiente fare knowledge management, ossia gestione della conoscenza, intendendo per conoscenza la somma e l'elaborazione delle informazioni e dei dati a disposizione dell'azienda. 
Oggi invece è sempre più importante non tanto gestire la conoscenza acquisita, ma favorire la creazione di nuova conoscenza, attraverso la comunicazione, lo scambio, l'integrazione delle competenze. In altri termini è fondamentale creare un contesto nel quale i propri professionisti riescano a comunicare al meglio e nel quale tali comunicazioni vengano in qualche modo organizzate così da conservarne il valore. Il termine net economy, in tal senso, non si riferisce soltanto alle reti telematiche, ma ai veri e propri "network" di cervelli che si devono costituire per essere competitivi sul mercato…

MC - 6. Se può essere intuitivo immaginare un vantaggio competitivo basato sul servizio, sulla riduzione dei costi, sulla creazione di un valore maggiore, risulta più difficile immaginare un'impresa che abbia un vantaggio fondato sul "capitale intellettuale". Può fornire qualche esempio concreto?

SE -  Il punto è che oggi, per risultare competitivi sulla riduzione dei costi o sul servizio non si può non far riferimento alla gestione del capitale intellettuale. Gestire il proprio capitale intellettuale è il mezzo che permette di ottenere il risultato di presentarsi sul mercato con maggiore efficienza. Senza contare poi che, se gestire il capitale intellettuale vuol dire anche gestire i propri asset intangibili, allora già nel 1982 Coca Cola ha realizzato 150.000.000 di dollari con la costituzione di Coke Enterprices, ossia una azienda che - senza vendere un litro di bevanda - ha capitalizzato (appunto) il valore del brand, dei brevetti, delle relazioni, delle partnership. In ultima analisi del capitale intellettuale di tipo strutturale. Gestire il capitale intellettuale consente di leggere meglio il mercato. E meglio vuol dire più rapidamente o con maggiore precisione di quanto non faccia la propria concorrenza. Se si vuole comprendere poi il ruolo del capitale intellettuale e dell'utilizzo dell'informazione basta un esempio tutto italiano assolutamente indicativo: il "valore" accumulato dagli Agnelli in un secolo di FIAT è paragonabile a quello creato in soli 20 anni di televisione da Silvio Berlusconi, ed esso è paragonabile a quello generato da poco meno di 5 anni di internet da Renato Soru con Tiscali…

MC - 7. Learning Organization: ossia la chiave per valorizzare il capitale intellettuale. Perchè il Knowledge Management non è più sufficiente?

SE - Strano a dirsi, ma il concetto di learning organization, ossia di "organizzazione che impara" è addirittura più antico di quello di knowledge management. 
Torna in auge dal momento in cui la gestione del sapere (intendendo per sapere ciò che "già" si sa) non è più sufficiente. Oggi è necessario fare della propria azienda una vera e propria "macchina da guerra" in grado di adattarsi ad un mercato mutevole ed incostante. Ciò richiede che l'azienda muti al mutare del mercato, e che si adatti al variare delle condizioni dello stesso. Che impari, appunto, come rapportarsi all'esterno e rispetto ai suoi stakeholder. 
Le tecnologie, oggi, rendono poi possibile la creazione di infrastrutture distribuite che facilitano lo sviluppo delle organizzazioni verso il concetto di learning organization… Ecco perché il Capitale Intellettuale è importante. Esso costituisce la base per interpretare il mercato e consentire all'azienda di mutare con esso. Il knowledge management si sviluppa con l'obiettivo di "fornire la giusta informazione nel giusto momento alla giusta persona". Oggi deve trasformarsi in strumento operativo della learning organization, ossia uno strumento per far si che le persone "generino" sapere e connessioni.

MC - 8. Disporre di un'organizzazione che impara per prevedere le evoluzioni del mercato. Alla base, ovviamente, la creazione di un contesto che faciliti il confronto e l'apprendimento continuo. Quanto e' fattibile per una PMI? E, soprattutto, quali sono i 3 consigli di Stefano Epifani per chi vuole fare della propria impresa una Learning Organization?

SE -  È probabilmente più fattibile (o almeno più semplice) per una piccola o media impresa di quanto non lo sia per una grande azienda. In primo luogo per una intrinseca maggiore flessibilità delle PMI rispetto alle grandi aziende, e comunque per una oggettiva maggiore linearità nell’azione di change management, di gestione del cambiamento. Le PMI possono configurarsi come delle efficientissime "comunità di pratica" naturali, nelle quali elementi come i "circoli di qualità" o iniziative similari proprie della grande azienda non hanno senso in quanto sono implicite nella struttura e nell’organizzazione della PMI. E quando la PMI ha personale distribuito sul territorio gli strumenti della telematica, una buona organizzazione ed un pizzico di buona volontà risolvono egregiamente il problema.

In ultima analisi le aziende – per piccole che siano – che non curano i processi di creazione del capitale intellettuale o che non curano la formazione dei propri dipendenti (due elementi indistricabilmente connessi) oggi non hanno scuse. Per quanto attiene la formazione, in particolare, esistono ormai decine di direttive che permettono di formare i propri dipendenti senza la necessità di investimenti significativi da parte dell’azienda. Dal fondo sociale europeo alla legge 626 – soltanto per citare le più note – sono letteralmente decine le fonti di finanziamento possibili per quelle aziende che avessero la necessità di formare i propri dipendenti. La cosa singolare è che i fondi disponibili – di solito – non vengono utilizzati. E a volte sono ridistribuiti in altre nazioni europee…

I tre consigli sono presto detti:

  • Formazione, formazione, formazione. La formazione e l’aggiornamento sono fondamentali per il successo dell’azienda nelle strategie di medio e lungo termine.
  • Flessibilità: Imparare vuol dire mutare in positivo, e mutare vuol dire poter contare su di una organizzazione in grado di gestire il processo di cambiamento.

Non temere di mettere in gioco il proprio modello di business. Anche se ciò volesse dire ripensare la propria organizzazione. Come già detto, il mercato cambia con rapidità. O si cambia con esso o si muore.

MC - 9. La Learning Organization si dovrà, in un secondo momento, evolvere in Business Community. Come dovrà avvenire questo passaggio? Di che natura sono i rischi a cui si può andare incontro?

SE La Business Community è - in qualche modo - lo strumento operativo della learning organization. 
Alla base del modello aziendale sul quale si basano le learning organization si trovano spesso le comunità di pratica. Il limite delle comunità di pratica è che esse sono - per loro natura - destrutturate ed informali. La business community, grazie al supporto della tecnologia, consentono di gestire comunità di pratica "virtuali"; che di fronte ad una destrutturazione apparente possono gestire dei framework estremamente strutturati ed efficienti. I sistemi di gestione delle business community, se adeguatamente progettati (il che vuol dire disegnati sull'organizzazione) riescono a trarre dalle comunicazioni informali il loro contenuto informativo, esplicitando così il sapere tacito e creando "valore" per l'azienda che le gestisce.

MC - 10. Come cambia il processo di creazione del valore per un'impresa che punta ad elevare la capacità di apprendimento ad asset strategico?

SE -  Diviene un processo ciclico il cui output è il continuo apprendimento di nuovo sapere e la continua ridefinizione della propria organizzazione e della propria strategia in funzione di quanto appreso. Tale processo può essere così riassunto:

  • individuare il sapere tacito esistente all’interno della propria azienda;
  • renderlo esplicito;
  • formalizzare il sapere esplicito;
  • sfruttare il sapere esplicito per sviluppare nuove strategie di business;
  • far si che il sapere esplicito si ritrasformi in sapere tacito e venga interiorizzato dall’organizzazione;
  • individuare ancora sapere tacito e ricominciare il ciclo…

il sapere, insomma, consente di leggere il mercato ed adattarsi ai suoi cambiamenti. L’informazione, la conoscenza, sono chiavi di lettura del mercato, e divengono quindi elementi strategici per lo sviluppo del business…

MC - 11. Quali presupposti sono necessari (tecnologie, capitali, capacità strategiche) per implementare la propria Business Community?

SE Più delle tecnologie, più dei capitali, sono altri i fattori che possono determinare il successo o il fallimento di una Business Community. 
In primo luogo il commitment da parte del top management. Quindi una intensa e puntuale attività di formazione. Il fallimento delle Business Community, come quello di tutte le iniziative legate al knowledge management, raramente risiede in fattori di natura puramente tecnologica. 
È di fondamentale importanza, invece, effettuare una costante ed attenta attività di change management, impostando le necessarie attività di formazione ed assicurandosi che la percezione del cambiamento sia positiva. L'accettazione da parte del personale delle innovazioni e dei nuovi modelli operativi è in assoluto il fattore predominante per il successo di una buona business community. 
Tecnologie e capitali vengono solo dopo le persone, anche in questo caso. 
Come sempre, del resto…

 

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